Taglio Peso

Salire di peso? Scendere di peso? L’eterno dilemma che ogni atleta di armwrestling si sarà domandato almeno una volta. 

Come gestire il proprio peso? Tutti sapranno (e se non lo sapevate oggi avrete almeno una nozione in più), che nel braccio di ferro vi è una suddivisione per categorie di peso, oltre che per età e livello. Idealmente ci si vorrebbe iscrivere alla categoria di peso più bassa possibile, in cui, a rigor di logica gli avversari saranno più deboli in senso assoluto. 

In caso di atleti il cui peso è in prossimità di uno degli scaglioni delle categorie direi che il cruccio non si pone nemmeno. Pesate 90,5kg? Ecco, saltate un pranzo dalla nonna a base di parmigiana cucinata in abbastanza olio da destare l’attenzione degli stati uniti per un possibile sfruttamento petrolifero e dovreste farcela. Siete 96kg la mattina dopo aver cenato a base di gallette di riso e tristezza? Valuterei di buttare le gallette, mangiare quella parmigiana (si, anche l’olio) e presentarsi sereni alla pesata. Ma come? Non abbiamo detto che è meglio scendere il più possibile di categoria…? Certo, a patto che la differenza media di forza della categoria inferiore sia superiore alla perdita di forza causata dal calo del peso. Ipotizzando (numeri a puro scopo esemplificativo) che ad ogni categoria vi sia uno scatto del 5% medio di forza dei vari atleti, va da sè che non avrà senso scendere per guadagnare quel 5% se per scendere di categoria noi perdiamo un ipotetico 10%. 

Senza dilungarci troppo nei concetti di “bulk” ( aumento dell’introito calorico giornaliero al fine dell’aumento di peso, idealmente massa magra ) e “cut” ( riduzione dell’introito calorico, o aumento dell’attività giornaliera al fine della diminuzione di peso, idealmente massa grassa), ci basti sapere che a differenza di uno sport come il bodybuilding, nel braccio di ferro lo stress articolare e tendineo è elevatissimo. E quindi….? Beh vi siete mai chiesti come mai all’aumento di peso corrisponda un aumento di forza immediato? Il nostro corpo ha diverse forme di “limitatori”, quasi tutte suscettibili alla nostra fluttuazione di peso; ecco quindi che un eventuale cut potrebbe farci perdere molta più forza di quanto il semplice calo muscolare potrebbe suggerire. I numeri in palestra potrebbero rimanere uguali, ma la nostra performance al tavolo potrebbe risentirne. Ecco alcuni esempi:

Per quanto il grasso non influisca direttamente sulla nostra performance, il suo semplice accumulo (in percentuali moderate!) aiuta a proteggere le nostre articolazioni, costituendo una sorta di imbottitura attorno ad esse. Un calo di peso sarà quindi percepito dal nostro corpo, come una situazione di “pericolo” e andrà di conseguenza a frenarci per evitare stress in quelle articolazioni da lui percepite come fragili (si fa notare come un eccesso in senso opposto è deleterio in egual maniera, in quanto un eccesso di tessuto adiposo induce uno stato di perenne infiammazione articolare). 

Un altro meccanismo sconosciuto ai più, è il riflesso tendineo di Golgi. Tale riflesso consiste in un meccanismo di protezione muscolo-tendineo che, in risposta a determinate soglie di tensione meccanica, segnala al nostro cervello di interrompere la contrazione muscolare. Partecipare ad una competizione mentre si è in decift calorico potrebbe voler dire avere una soglia ben più bassa di questo riflesso, a causa di un recupero più lento o solo parziale delle nostre strutture tendinee ed articolari. 

Esistono però due strade per aggirare queste problematiche, la prima, adatta a tutti, 

consiste nel eseguire un cut con un discreto margine per rientrare nella categoria desiderata ad almeno 1-2 mesi dalla gara a cui si vuole prendere parte, da tale data iniziare una dieta in surplus calorico in modo da dare tempo al nostro organismo di adattarsi in seguito alla perdita di peso e sfruttare i benefici che un superiore introito calorico garantisce alla nostra performance. 

Il secondo metodo consiste nel cosidetto “taglio dell’acqua” metodologia assai pericolosa nelle mani inesperte, che consiste nel disidratarsi in maniera programmata per una temporanea perdita di peso che può oscillare da 2% a 10% del peso dell’atleta. Questa pratica tuttativa, può avere risultati tanto disastrosi quanto sono grandi i benefici se eseguita correttamente, e pertanto, merita un’approfondita trattazione separata volta a delinearne l’utilizzo appropriato. 

Per concludere si fa cadere l’attenzione sul fatto che tanto più si è agli inizi nel nostro percorso sportivo e tanto più forzarsi in determinate categorie piuttosto che altre sia deleterio. 

L’autore consiglia di puntare ad un fisico in cui ci si senta a proprio agio, possibilmente sano, e di vivere con serenità sia le competizioni che il percorso che porta ad esse. Un fattore da non sottovalutare è lo stress indotto da un possibile taglio del peso, che potrebbe portarci a non riposare il dovuto e pertanto perdere lucidità e prontezza di riflessi; meglio arrivare tranquilli alla pesata dopo una piacevole cena e meritata dormita, che iniziare una gara già stremati dagli stenti, oltre che aumemtare in maniera sensibile la % di infortuni. 

(Ricordiamo che mentre in un cut per finalità estetiche il cut stesso rappresenta il fine ultimo, nel braccio di ferro arrivare ad un determinato peso non è altro che l’inizio della competizione. Tenere sempre a mente che lo scopo ultimo è l’espressione al tavolo, e non il numero sulla bilancia 

Seppur abbastanza intuibile, si chiarisce che la maggior parte delle indicazioni sopra espresse sono rivolte ad atleti novizi – intermedi, e che nella preparazione a categorie senior possa avere senso prendere più rischi di fronte a possibili risultati più significativi).

In bocca al lupo!

Martino Doni
Autore

Martino Doni

SBFI Athlete; Medical Student; Personal trainer; Training Methodologist

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